Celtic Tiger
Termine coniato in riferimento al boom senza precedenti vissuto dall’economia irlandese negli anni Novanta, dove il tasso di crescita annuo del PIL fu del 9.4% rispetto al 2.6% della media europea. Il settore industriale si espandeva ad un tasso del 15%. La crescita, iniziata già dai tardi anni Ottanta, ha fatto calare il tasso di disoccupazione dal 18% dei primi anni Ottanta al 4% attuale (contro una media europea dell’8%).
Con oltre il 70% del PIL nelle esportazioni, l’Irlanda è ora il terzo esportatore mondiale su base pro capite. Ne è conseguito che l’emigrazione è stata non solo bloccata ma ribaltata, nel momento in cui nonostante il ritorno di irlandesi dai paesi di recente immigrazione, il paese si è trovato di fronte per la prima volta ad una carenza di forza lavoro, tanto da dover ricorrere a richiedere lavoratori dall’estero tramite inserzioni pubblicitarie, specialmente agli estremi dello spettro della forza lavoro, cioè lavoratori non specializzati e laureati. Molte ragioni sono alla base di questo imponente cambiamento, che si basa sulla capacità irlandese di attrarre l’investimento delle corporations multinazionali. Queste comprendono l’apertura economica a partire dai tardi anni Cinquanta, la politica di sgravi fiscali introdotta nel 1987; gli accordi neo-corporativisti tra il governo, i sindacati, le associazioni degli agricoltori e l’industria, che hanno contribuito alla creazione di un ambiente economico e sociale molto stabile; una forza lavoro giovane, flessibile, poco costosa ma allo stesso tempo altamente istruita, risultante di un massiccio investimento del governo nell’istruzione superiore ed universitaria a partire dai primi anni Ottanta; bassi livelli di burocrazia e una facile accessibilità del mondo politico; ed infine i bassi costi dei mezzi di trasporto e l’abbattimento dei costi delle comunicazioni elettroniche che sono riusciti a scavalcare la marginalità geografica dell’isola. Altri fattori fondamentali sono stati rappresentati dal fatto che l’Irlanda sia un paese di lingua inglese, e dalle fortissime connessioni culturali con gli Stati Uniti. L’investimento è venuto principalmente da multinazionali che producono per il mercato comune europeo (soprattutto nel settore informatico e chimico-farmaceutico). Di importanza centrale rimangono quindi l’ingresso nell’Unione europea, e i fondi strutturali da questa erogati, e la politica finanziaria che, con un tasso del 10%, è la più bassa d’Europa.
I critici della Celtic Tiger non hanno mancato di sottolineare la vulnerabilità dello sviluppo, nonché la crescita delle disuguaglianze sociali che ne è susseguita (il 20% della popolazione è ancora al di sotto della soglia di povertà).
Da: P. Breathnach, Exploring the Celtic Tiger Phenomenon: causes and consequences of Ireland’s Economic Miracle, «European Urban and Regional Studies», 5/.4 (1998), 305-316.